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Riflessioni 6.0

Mercoledì 24 agosto 2016 ore 3.36, una serie di eventi sismici con epicentro nelle province di Rieti, Ascoli Piceno e Perugia distrugge, e quasi rade al suolo, i comuni di Amatrice, Accumoli, Arquata e zone limitrofe. Inizialmente si parla di una ventina di morti. Le vittime, a questo momento, sono 294.

Abbiamo accompagnato il dramma e la tragedia con il fiato sospeso, con il cuore accartocciato, con l’esultanza alla notizia di Giulia, 11 anni, estratta viva dalle macerie. Abbiamo ammirato il coraggio di chi scavava a mani nude tra le case crollate, di chi è accorso prontamente come volontario, dei vigili del fuoco e di tutti coloro che, giorno e notte, si sono impegnati per alleviare il carico di dolore e smarrimento di quelle popolazioni. Abbiamo ascoltato, nelle due giornate di lutto nazionale, le omelie dei vescovi D’Ercole e Pompili, le loro considerazioni e le loro domande: “Dio che cosa fai? Dio, ora cosa si fa? …” …  “Dio non può essere usato come capro espiatorio… Dov’è Dio?, la domanda non va posta dopo ma prima per interpretare la vita e la morte…”. Abbiamo visto anche, ed era commovente, oltre che essere una risposta semplice ed eloquente alle domande poste nelle omelie, quel popolo cercare tra le macerie, non solo i morti, ma anche i suoi santi, le sue Madonne, i suoi crocifissi…la sua fede!

Avevamo iniziato l’estate con la strage di Nizza e i suoi 86 morti e ci troviamo a concludere questa estate 2016 con il terremoto. Da una parte la follia umana e dall’altra l’estrema fragilità della nostra vita, terrorismo dell’uomo impazzito e terrorismo di madre natura, che sembra matrigna. E’ questa la nostra condizione umana: un camminare al buio tra timore e tremore?

Quando s. Paolo ci parla della croce di Cristo come “scandalo e follia”, sta parlando anche di noi, sta dicendo qualcosa anche sulla vita umana. Sì, è duro “il mestiere” di vivere, anche se è l’avventura più bella che ci è stata donata.” Croce e scandalo” diventano, a volte, il nostro camminare in questa esistenza. Eppure, lo stesso s. Paolo, nella stessa lettera ai Corinti, verso la fine, arriva a dire, che “solo l’Amore resta”, che, alla fine è l’Amore che vince. Come è possibile unire le due cose?

La risposta ci viene da quegli stessi luoghi dove la morte sembra aver conseguito la sua ennesima vittoria. Sì, ad Amatrice, Accumoli ed Arquata noi abbiamo visto, tra le macerie, tanto, ma tanto amore. Un amore che unisce tutte le forze rimaste, un amore che non vuole dimenticare, un amore che vuole ricominciare, un amore che vuole radicarsi ancora lì in quel luogo, perché ancora si dica che è “la vita vince la morte”, perché, nonostante tutto “l’amore resta”.

E questo la dice lunga su chi siamo? Siamo nati per amore e viviamo per amare, oltre i terremoti e i terrorismi di ogni sorta.

 

PS: Ricordo che domenica 11 settembre, come ha chiesto Papa Francesco, tutte le offerte raccolte in chiesa saranno per i nostri fratelli e sorelle terremotati.