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Nella morte, la Vita

Se Erasmo da Rotterdam con “l’elogio della follia” (1509) aveva aperto nuovi orizzonti al sentire e al vivere umano, oggi, con “l’elogio dell’imperfezione, l’elogio della fragilità, l’elogio della leggerezza”, come ormai vari autori scrivono, si vuole recuperare tutto l’essere umano, anche nella sua dimensione apparentemente più debole, per trasformare la debolezza in forza (Cf S. Paolo) e i difetti in risorse.

 

In questo tempo pasquale, a me, guardando il Cristo morto e risorto, viene da affermare, in maniera forse spropositata, “l’elogio della morte”. E’ vero che Cristo è morto per i nostri peccati, ma è anche vero che è bene che Cristo sia morto, anzi, oso dire, Cristo doveva morire.

Dico questo perché solo nella sua morte noi vediamo Dio, comprendiamo finalmente chi è Dio nella sua più segreta intimità, ossia che Dio è Amore, solo Amore, puro e totale Amore. Dio doveva morire per rivelare Dio!

Ma a questo aggiungo che è nella sua morte che, finalmente e siano rese grazie, muoiono anche Pietro e compagni. Muoiono nella loro presunzione, muoiono nei loro sogni di grandezza, muoiono nelle loro sicurezze.

Solo grazie a questa morte, e di Dio e dell’uomo, possono rinascere e Dio e l’uomo nella loro verità e possibilità di comunione per un’unione che sia autentica.

 

E questo vale per ogni relazione, specie nella relazione di coppia, e di comunità, aggiungerei per me frate. Bisogna che muoiano i sogni del matrimonio sognato, che muoiano le immagini dell’uomo e della donna sognata, per rinascere nella verità e bellezza della realtà, di chi si è e si vuole insieme essere, sapendo chi siamo veramente, e non chi pensavamo di essere.

 

Nella morte è la vita. Ci vuole fede? Sì!, ma è così da quel giorno: “il giorno fatto dal Signore”.

Scriveva Bonhoeffer in “La vita comune”, «Infinite volte tutta una comunità cristiana (famiglia) si è spezzata, perché viveva di un ideale… Quanto prima arriva, per il singolo e per tutta la comunità, l’ora di questa delusione, tanto meglio per tutti”.